Corona Virus: tra disinformazione e disinfezione

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Corona Virus: tra disinformazione e disinfezione

Lo chiamano in diversi modi, Corona Virus, COVID 19, la nuova SARS, la minaccia invisibile…ma si tratta sempre dello stesso gruppo di virus, vediamo di fare un po’ di chiarezza prima d’iniziare un’analisi complessiva.

Con Coronavirus si intende una vasta famiglia di virus noti per causare malattie che vanno dal comune raffreddore a malattie più gravi come la Sindrome respiratoria mediorientale (MERS) e la Sindrome respiratoria acuta grave (SARS).

I Coronavirus sono nello specifico virus RNA a filamento positivo, al microscopio elettronico appaiono molto simili a una corona, dal quale deriva appunto il nome.
Il virus che causa l’attuale pandemia di coronavirus è stato chiamato “Sindrome respiratoria acuta grave coronavirus 2” (SARS-CoV-2), mentre la malattia causata da questo virus è detta COVID-19 (CoronaVirus Disease).

Inizierei questa valutazione partendo da semplici dati di cronistoria che fanno alquanto riflettere:

-31 dicembre 2019: “polmoniti anomale”: secondo alcuni studi potrebbero già trattarsi di primi casi di COVID19 e circolavano già a capodanno del 2019 in Cina e in particolare a Wuhan, la città più popolata della parte orientale della Cina, importante centro di commercio e scambi. Tuttavia, almeno inizialmente non si sapeva che si trattava di un nuovo virus: ciò che inizia ad essere registrato è un certo numero di polmoniti anomale, dalle cause non identificabili ad altri patogeni conosciuti.
-Il 9 gennaio le autorità cinesi avevano annunciato ai media locali che il virus responsabile delle polmoniti anomale era un nuovo ceppo di coronavirus, della stessa famiglia dei coronavirus responsabili della SARS e della MERS ma anche di banali raffreddori, tuttavia diverso da tutti questi.  L’Organizzazione Mondiale della sanità d’altra parte divulgava l’informazione il 10 gennaio, dando tutte le istruzioni del caso (in particolare dicevano di evitare il contatto con persone con sintomi) e dichiarando che non era raccomandata alcuna restrizione ai viaggi per e dalla Cina. I casi , ancora al principio,  erano concentrati a Wuhan e non si conosceva la contagiosità effettiva di questo virus (Sars e Mers risultavano infatti molto più gravi ma molto meno contagiose).

Già su questi due primi dati iniziali viene spontaneo chiedersi, se di fronte a un virus sconosciuto di cui non si conosceva la contagiosità, l’effettiva mortalità e molti altri dati essenziali per iniziare a combatterlo non sarebbe stato meglio una più pronta presa di coscienza da parte delle autorità cinesi che avrebbero dovuto reagire preventivamente evitando il turismo e gli scambi in particolare tra regioni cinesi.
Ma andiamo avanti con la cronistoria…

-21 gennaio: il Covid19 si trasmette fra esseri umani

Il 21 gennaio l’Organizzazione Mondiale della Sanità annunciava che il nuovo virus si trasmette anche da persona a persona. Ma ancora gli esperti non sapevano quanto facilmente poteva avvenire. Le autorità locali dei vari paesi iniziavano a raccomandare di non andare in Cina salvo necessità urgenti.
Intanto Wuhan diventava una città isolata e i festeggiamenti per il capodanno cinese venivano annullati.

-27 gennaio: le autorità ticinesi preventivamente (e visto che nel mondo erano già presenti oltre 2700 casi positivi) enunciano il primo comunicato. Si invita la popolazione che presenta i sintomi (tosse, raffreddore, febbre,…) a non presentarsi negli ospedali.

In Italia a partire dal 29 gennaio vi erano due turisti cinesi di Wuhan contagiati, ricoverati all’ospedale Spallanzani.
Inoltre risultavano contagiati un ricercatore italiano positivo al virus e proveniente dalla Cina e un diciassettenne, rimasto bloccato a lungo a Wuhan a causa di sintomi simil-influenzali, non positivo al coronavirus ma ugualmente tenuto sotto osservazione e ricoverato all’ospedale sopracitato. 

-21 febbraio: in Lombardia e in particolare nei comuni di Codogno, Castiglione d’Adda e Casalpusterlengo vengono accertati diversi soggetti positivi al virus.

-25 febbraio: in Svizzera d’altro canto viene confermato il primo caso proprio in Ticino, il 25 febbraio, si tratta di un signore di 70 anni che una settimana prima si era recato a Milano per un viaggio.

 

A questo punto della cronistoria (che in realtà potrebbe proseguire fino ad oggi), quando eravamo ancora tutti tranquilli seduti sulle nostre poltrone a guardare il telegiornale, sorge un dubbio spontaneo che vi riporto di seguito: non era forse quel 25 febbraio il momento (o da lì a poco, in particolare il 4 marzo con 15 casi positivi) per preoccuparsi veramente e prendere misure adeguate alla situazione (vista anche la gestione della situazione ad esempio in Taiwan che ha in alcuni mesi abbassato notevolmente il numero di contagi. Evidentemente la visione Asiatica del “tutto chiuso” è estrema e irrazionale per la visione Europea, tuttavia ha dato i suoi risultati nel lungo termine).
Nel dettaglio Taiwan, con una popolazione di 23.57 milioni di abitanti (contro gli 8.57 della Svizzera) ha avuto solamente 603 casi totali, con 536 guarigioni (circa l’88.88 %)
In Svizzera invece i numeri sono i seguenti: 257mila casi totali e 2960 decessi, numeri che fanno alquanto riflettere.
Non erano necessarie misure estreme, ma si sa il mondo occidentale industriale ha come fondamenti il commercio, l’economia, gli scambi,…e molti altri elementi poco conciliabili con le misure che andavano prese sin da subito. Ma quali sono queste semplici misure? La scienza e il tempo ci hanno insegnato che le misure adottate dai paesi asiatici riviste per il nostro territorio sarebbero state utili anche qui, nel dettaglio:

  • mascherina obbligatoria nei negozi, esercizi pubblici e istituzioni a partire da subito (si sa che quelle 15 persone positive avrebbero potuto incontrare in media 10 persone al giorno, facendo due calcoli con le informazioni che abbiamo, una persona può essere positiva già giorni prima di sviluppare i sintomi, pertanto, almeno altre 150 persone sarebbero state dei potenziali casi positivi e così via).
    Vi riporto un caso personale: 17 marzo 2020, vado normalmente a fare la spesa in un centro commerciale di paese, dopo aver preso dagli scaffali alcuni prodotti mi avvio alla cassa. All’improvviso, svoltando l’angolo, una signora sui 50 anni mi urla in tono nervoso e maleducato di restare dove sono. Spaventato e allibito non mi muovo (temendo il peggio) e in seguito, per istinto, faccio qualche passo indietro sempre più confuso. Le chiedo spiegazioni e mentre mi urla che ha tutta la famiglia infetta da COVID19 noto che la sua bocca e il suo naso sono coperti da un sacchetto di carta per la spesa. Dopo essermi allontanato molto preoccupato noto che la signora in tutta tranquillità toglie il sacchetto, recupera il vino che cercava da un commesso (naturalmente senza mascherina, che non batte ciglio ) e procede a pagare alla cassa, sparendo poco dopo.
    Molti potranno accentuare il fatto che è questione di responsabilità personale, ma si sbagliano,  è responsabilità pubblica, perché 350 mila abitanti non possono fare affidamento solo sul buon senso, l’uomo è per natura egoista e indifferente (con buone eccezioni per fortuna) ma in tal caso deve intervenire l’autorità che dovrebbe esistere anche per permettere un buon equilibrio nell’ambiente sociale, tra individui. Per fortuna quel giorno non fui contagiato ma nella mia mente iniziarono ad arrivare tutta una serie di interrogativi, quali ad esempio cosa potesse aver toccato e probabilmente infettato la signora, quante persone avrebbero potuto ammalarsi per l’incoscienza di un solo individuo, cosa sarebbe successo alle persone considerate come categorie sociali a rischio (anziani e persone con altre malattie pregresse) se effettivamente la signora avesse avuto contatti con loro o se avesse visitato altri luoghi pubblici chiusi.
  • disinfettante a disposizione all’entrata dei luoghi pubblici chiusi
  • nei negozi confezionare preventivamente i prodotti a libero servizio (vedi ad esempio pane e pasticceria, che molto spesso vengono presi con pinze o peggio ancora con le mani)
  • controllo delle entrate nei luoghi chiusi per mantenere la distanza di sicurezza tra le persone
  • stretta ed efficace collaborazione tra i vari dipartimenti per la gestione completa della situazione e 40ene preventive sin da subito

Non era questione di chiudere tutto o meno (poiché molte attività non sono sopravvissute e altre invece ne hanno approfittato dei sussidi pur avendo una buona salute economica), bensì di adeguarsi alla situazione con precauzioni, perché si sa, prevenire è meglio che curare e curare questa malattia non è risultato per nulla evidente (alcuni stanno ancora facendo i conti con le conseguenze ora, a distanza di mesi dal momento in cui si sono ammalati).
Piano piano con l’attenuarsi della curva dei contagi dopo alcune misure di contenimento e della chiusura temporanea è arrivata l’estate.
Periodo tanto bello quanto doloroso dal punto di vista dei contagi perché (purtroppo) buona parte della popolazione sembrerebbe essersi dimenticata del virus, frequentando luoghi pubblici, bar o addirittura discoteche senza precauzioni. Nei mesi successivi molti di questi ritrovi, molto spesso stretti e eccessivamente affollati sono rimasti aperti (aperitivi, cene, festini, e chi più ne ha più ne metta) fino a ritornare alla situazione alla quale eravamo abituati con diverse centinaia di contagi al giorno. A questo proposito mi chiedo ” le misure di prevenzione sono andate in vacanza insieme alla popolazione?”, così sembrerebbe poiché finché la situazione non è precipitata di nuovo, ben pochi, (esperti del settore e evidentemente preoccupati) hanno fatto notare il problema.
A livello politico abbiamo visto diverse prospettive, diversi dietrofront, incoerenze nonché incertezza ed è proprio stata quest’ultima a esser stata riflessa su tutte le persone.
L’incertezza si sa provoca ansia e l’ansia a volte porta a fare cose folli o ad assumere comportamenti socialmente instabili. Questi comportamenti e una generale disumanità, nella sua accezione più remota, si sono potute notare nella vita di tutti i giorni: gente che si riempiva il carrello della spesa con 20 kg di farina e altrettanta pasta, altri svuotavano gli scaffali prendendo tutta la carta igienica (viene da chiedersi se gli idraulici abbiamo avuto un incremento di lavoro vista la quantità di carta acquistata) oppure scontri verbali di ogni genere per futili motivi in strada o qualsiasi altro luogo. Le persone man mano hanno iniziato a mostrare la loro natura “animale” dimenticandosi degli altri e pensando solo a sé stesse (forse un’estrema versione dell’ homo oeconomicus di Smith), come disse Wilde l’egoismo non consiste nel vivere come ci pare, ma nell’esigere che gli altri vivano come pare a noi, tuttavia sorge spontaneo chiedersi poiché diverse persone devono rinunciare ad avere un pane appena sfornato in tavola o una torta succulenta per l’egoismo di una sola (che in realtà non è per nulla un caso isolato).

Un fatto particolare e alquanto singolare che si è potuto notare durante la crescita dei numeri della pandemia è stato lo sviluppo dei cosiddetti “leoni da tastiera” e i “santoni e guaritori della domenica”, due tipologie di persone che creano confusione, ansia e incertezza in una situazione che è già instabile da sola.
Questi, al momento opportuno, si sono scatenati in vario modo sui social network (dimostrando incoerenza, sconcertante stupidità nonché fragilità logica) portando una ventata di inadeguatezza e indifferenza. Commenti inappropriati e talvolta offensivi hanno inondato le reti di tutti i principali canali, mostrando la frustrazione ma anche la disinformazione dilagante tra la società, dove molti soggetti con presunzione intellettiva riportano fatti contrastanti o addirittura notizie già smentite da tempo dalla comunità scientifica.
Una delle principali caratteristiche che permette di dare libero sfogo all’aggressività sui social network è senza dubbio l’anonimato. Non per niente, è molto comune l’intervento dei cosiddetti fantasmi, ossia utenti anonimi che scrivono commenti provocatori o aggressivi con l’obiettivo di disturbare e accendere la discussione. Un altro fattore è la sensazione di sicurezza fornita dalla presenza di uno schermo fra noi e i nostri interlocutori, spesso porta a credere che non vi siano conseguenze concrete rispetto a ciò che scriviamo o commentiamo. La sensazione di libero arbitrio e di svincolo dalle conseguenze concrete del poter mostrare una personalità completamente diversa dalla propria o, al contrario, una parte avversa del proprio sé permette di sentire e provare un certo grado di soddisfazione attraverso l’umiliazione degli altri. Molto spesso sono proprio il narcisismo e la voglia di protagonismo individuale i sentimenti che sono alla base di questa ignoranza da tastiera. In questa comunicazione corrotta, ma soprattuto a distanza l’emittente del messaggio non coglie reazioni, mimica facciale e reazioni del ricevente, pertanto si sente libero da ogni costrizione sociale.

Un’altra tipologia interessante sono stati i “Voldemort” della situazione, persone molto simpatiche che coprono solo la bocca credendo di non avere il naso, o peggio ancora i “personaggi al telefono”, che danno per scontato di poter abbassare la mascherina per parlare liberamente al telefono all’interno di un negozio.
A criticare sono bravi tutti, è vero, ma le critiche vanno mosse con cognizione. Come disse P. Marshall “un mondo differente non può essere costruito da persone indifferenti”, ed è un po’ questo il sentimento generale che si è potuto testare e che si nota ancora oggi, l’indifferenza.
A molti non importa, o semplicemente sentono lontana la “malattia”, si divertono e vivono liberamente come se nulla fosse, dimenticandosi che magari, a casa hanno nonni o parenti a rischio. Non è da augurare, ma molto spesso quel giorno in cui si apre gli occhi arriva (a causa dei primi sintomi) quando meno lo si aspetta (forse portato da qualcuno che su un mezzo pubblico se ne fregava delle norme, forse dal posto di lavoro chiacchierando deliberatamente con i colleghi senza mascherina durante la pausa caffé, “perché tanto noi stiamo bene”).
Questa sorta di ipocondria al contrario, fondata sul principio del “tanto sono sano” non può più essere un principio degli individui con un minimo di intelligenza sociale. Nel 2020 siamo confrontati con tanti problemi economici, sanitari, ecc tuttavia non bisogna dimenticare l’aspetto individuale inserito nel contesto delle reti sociali, poiché l’individuo oggi più che mai nel suo piccolo compie la sua parte, sia in positivo che in negativo (il bieco soggetto egoista si vedrà costretto a fare una presa di coscienza o a pagare le conseguenze sociali, fisiche e mentali delle sua azioni menefreghiste).
A mettere il dito nella piaga, a livello prettamente psicologico hanno aiutato i media, la cosiddetta società “informata” forse lo è stata un po’ troppo e troppe informazioni, molto spesso incerte o non confermate poiché temporanee, hanno aggravato la situazione. A livello umano ma soprattutto psicologico, in una situazione del genere bisogna differenziare ma sopratutto valorizzare, il che non vuol dire fornire cinquecento notizie simili sulla diffusione del corona virus su tutti i media riportando morte e terrore, ma sensibilizzare con intelligenza e sopratutto riportare un po’ di normalità nelle menti stressate delle persone.

La pandemia ha messo a dura prova la psiche degli individui, molti sono crollati alle pressioni, altri ne sentono le conseguenze ma rimane una certezza in tutto ciò: “Se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi arrivare lontano, cammina insieme” se abbandoni o ti allontani dalla normalità della vita sociale nei confronti di individui uguali a te prima o poi ci saranno delle ritorsioni e delle conseguenze. Impariamo a non commettere gli stessi errori.

G.Marioni, laureando in Scienze e Tecniche Psicologiche

 

 

 

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