Critica della ragion pratica di Kant

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Critica della ragion pratica di Kant

Critica della ragion pratica di Kant

In questo articolo troverete una sintesi completa della Critica della ragion pratica di Kant.
Immanuel Kant nacque a Königsberg (nella Prussia orientale) nel 1724 in una famiglia di origine scozzese. La sua esistenza fu interamente dedita la pensiero filosofico e il suo ideale politico era rivolto verso una costituzione repubblicana. La vita di Kant può essere divisa in tre periodi principali: dal 1724 al 1760 circa si interessò particolarmente alle scienze naturali; dal 1761 al 1781 l’interesse era prettamente filosofico e infine dal 1781 in poi si dedicò alla filosofia trascendentale.
La ragione, in tutti i filosofi serve a dirigere la conoscenza ma non solo, anche l’azione. Accanto alla ragione teoretica abbiamo quindi anche la ragione pratica.
Kant distingue però la ragion pura pratica (opera indipendentemente dall’esperienza e dalla sensibilità) e una ragione empirica pratica (che opera quindi sulla base dell’esperienza e della sensibilità). Ma a cosa serve quindi la Critica della ragion pratica? Essenzialmente a distinguere in quali casi la ragione è pratica e nello stesso momento pura (morale) e in quali casi essa è pratica senza essere pura.
Viene quindi da chiedersi perché il titolo dell’articolo Critica della ragion pratica e non Critica della ragion pura pratica.Ebbene è necessario ricordare che mentre la ragione teoretica ha bisogno di essere criticata anche nella parte pura in quanto tende a valicare i limiti dell’esperienza, la ragione pratica non ha bisogno di essere criticata nella parte pura poiché si comporta in maniera perfettamente legittima, obbedendo infatti a una legge universale come vedremo in seguito.
Vediamo quindi in dettaglio le caratteristiche della Critica della ragion pratica.
Alla base del suddetta Critica si trova la persuasione che sia presente nell’uomo una legge morale a priori universalmente valida (valida per tutti e per sempre), è dunque presente una legge etica assoluta, che il filosofo ha il solo dovere di constatare .
Questa legge morale risulta incondizionata , dunque capace di svincolarsi dalle inclinazioni sensibili e di guidare la condotta umana in modo corretto e stabile.
Le tesi viste poco fa dell’ incondizionatezza e dell’assolutezza della morale implica però due presupposti strettamente legati tra loro: la validità universale e necessaria della legge e la libertà dell’agire umano.
La legge morale presenta quindi delle caratteristiche essenziali quali la categoricità,la formalità e l’autonomia.
Categoricità:
Nella Critica della ragion pratica di Kant il filosofo distingue i principi pratici, quali regole generali che disciplinano la nostra volontà, in massime e imperativi: le massime sono prescrizioni di valore puramente soggettivo (es. alzarsi presto al mattino per andare in bici) mentre gli imperativi sono prescrizioni di valore oggettivo e si dividono in imperativi ipotetici (che prescrivono i mezzi per determinati fini: se…devi… es. “se vuoi ottenere buoni risultati a scuola devi esercitarti e studiare”) e in imperativi pratici (“devi”), che ordinano il dovere in modo incondizionato dal soggetto. L’agire si concretizza quindi in una massima che può valere per tutti.
Ecco quindi le tre formule dell’imperativo categorico,identificato nella legge morale:
Prima formula: “agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere nello stesso tempo com principio di legislazione universale”. In sostanza questa formula ci ricorda che un comportamento è morale solo se supera il “test della generalizzabilità
Seconda formula: “agisci in modo da trattare l’umanità, sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo. In altre parole bisogna rispettare la dignità umana che è in te e negli altri evitando di ridurre te e gli altri a semplice mezzo del tuo egoismo.
Terza formula: “la volontà in base alla massima,possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice” dunque viene puntualizzata l’autonomia della volontà sottolineando come il comando morale non debba essere un imperativo esterno bensì il frutto della volontà razionale.
Formalità:
La legge etica risulta avere carattere formale, poiché non dice che cosa dobbiamo fare bensì come dobbiamo farlo. La legge non prescrive quindi di agire per un determinato beneficio pertanto risulta essere antiutilitaristica.
Al formalismo viene anche affiancato il rigorismo, Kant esclude infatti dal recinto dell’etica emozioni e sentimenti, poiché inquinano la severa purezza della legge morale. La moralità consiste quindi nel puro dovere per il dovere. Se la morale consiste dunque nell’intenzione con cui si fa qualcosa allora il bene consiste nel volere il bene, cioè in quella che Kant definisce “volontà buona”, ovvero l’intenzione della volontà di conformarsi alla legge morale.
Pe concludere è necessario riportare la teoria dei postulati pratici che ritroviamo nella Critica della ragion pratica di Kant.
Kant presuppone anche un Sommo bene, un assoluto morale che consiste nell’unione di virtù e felicità. Tuttavia in questo mondo virtù e felicità non sono mai congiunte, poiché la ricerca della felicità e lo sforzo di essere virtuosi sono azioni distinte e generalmente opposte, dunque costituiscono un’antinomia etica per eccellenza. L’unica soluzione per uscire da tale antinomia è quella di postulare l’esistenza di un mondo dell’aldilà in cui possa realizzarsi l’equazione virtù = felicità.
Quello dell’esistenza dell’aldilà è uno dei postulati , dunque delle proposizioni non dimostrabili ammesse per rendere possibile la realtà della morale stessa.
L’altro postulato risulta invece essere l’esistenza di Dio, posto come essere necessario per far corrispondere virtù e felicità nel mondo dell’aldilà. infine ai due postulati di natura religiosa troviamo un ultimo relativo alla libertà come condizione stessa dell’etica, che nel momento in cui prescrive il dovere presuppone anche che si possa agire anche in maniera non conforme, “Devi dunque puoi” (dunque ogni individuo ha intrinsecamente la legge morale, ma può decidere se seguirla o meno).
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