Le radici biologiche delle neuroscienze comportamentali

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Le radici biologiche delle neuroscienze comportamentali

In questo articolo “Le radici biologiche delle neuroscienze comportamentali” andremo ad esporre una serie di concetti fondamentali sulla fisiologia del comportamento e in particolare sulle neuroscienze comportamentali.
Lo studio della fisiologia del comportamento trova le sue origini nell’antichità. 
Sin dalle prime culture organizzate quali Egizi, Indiani e Cinesi troviamo una prima ideologia incentrata sull’idea che il cuore fosse la sede del pensiero e delle emozioni, motivato dal fatto che, quando una persona si emoziona il suo cuore batte più forte.
D’altra parte anche gli antichi Greci la pensavano così, ciononostante Ippocrate si distinse per l’dea secondo la quale tale funzione doveva essere assegnata al cervello piuttosto che al cuore. Nel dettaglio è bene ricordare che non tutti i filosofi greci concordavano con lui e Aristotele ne faceva parte. Aristotele sosteneva infatti che l’ipotesi avanzata da Ippocrate non fosse corretta, presentando invece un’ipotesi secondo la quale il cervello servisse solo per raffreddare le passioni del cuore.
Galeno, in seguito, giudicò come “totalmente assurda” l’ipotesi Aristotelica,  sostenendo che in tal caso la Natura non avrebbe collocato l’encefalo così lontano dal cuore e non vi avrebbe connesso le fonti dei sensi. Galeno si appassionò molto allo studio de cervello, tanto da sezionare cervelli di pecora, capre, maiali, scimmie antropomorfe e altri animali per poterli studiare.
Nel 1600 Cartesio, un noto matematico e filosofo francese fornì un buon punto di partenza per lo studio moderno delle neuroscienze comportamentali, sostenendo che il mondo fosse un’entità puramente meccanica, la quale, dopo essere stata messa in movimento da Dio svolgerebbe il suo corso senza nessun altro intervento divino. Secondo tale visione anche gli animali sono organismi meccanici, il loro comportamento sarebbe quindi controllato dagli stimoli ambientali e pertanto anche l’uomo, che presenterebbe inoltre tutta una serie di movimenti automatici e involontari (ad esempio se un dito tocca un’oggetto incandescente il braccio automaticamente si ritrae per non scottarsi ulteriormente, tale azione non richiederebbe secondo il filosofo l’uso della mente poiché eseguita automaticamente). Cartesio definì queste azioni “riflessi” (dal latino reflectere, ripiegare su se stessi), nel dettaglio attraverso il sistema nervoso presente nell’uomo l’energia proveniente dalla fonte di stimolazione esterna viene riflessa verso i muscoli facendoli contrarre.
Come molti altri pensatori del suo tempo Cartesio era un dualista, credeva infatti che ogni persona possedesse una mente e che questa non rispondeva alle leggi dell’universo, inoltre fu il primo a ritenere l’esistenza di un legame tra la mente umana e la sua dimora fisica, il cervello. Cartesio sosteneva una sorta di scambio ambivalente di informazioni tra mente e corpo: la mente controllava i movimenti del corpo, mentre il corpo con gli organi di senso dava alla mente le informazioni su quanto succede nell’ambiente (secondo il filosofo questo processo avveniva nella ghiandola pineale, un piccolo organo nella sommità del tronco encefalico). Tra le altre importanti osservazioni e scoperte di Cartesio è anche necessario ricordare la scoperta dei ventricoli cerebrali, pieni di liquido, che suppose fosse sotto pressione. Lo scorrere del liquido provocherebbe il ringonfiamento e il movimento dei muscoli.
Nel 1600 Galvani confutò l’ipotesi di Cartesio sostenendo e dimostrando come la stimolazione elettrica del nervo di una rana produceva la contrazione del muscolo al quale era collegato. La contrazione avveniva anche se nervo e muscolo erano staccati dal resto del corpo. Detto in altre parole il cervello non gonfia i muscoli dirigendovi un liquido sotto pressione attraverso il nervo.
Uno degli esponenti più importanti nello sviluppo della fisiologia sperimentale è stata J. Müller, un fisiologo tedesco del 1800 sostenitore dell’applicazione delle tecniche sperimentali alla fisiologia.
Il contributo più grande portato dallo studioso si intitola “dottrina delle energie nervose specifiche”, egli osservò che sebbene tutti i nervi trasmettano lo stesso messaggio di base, ovvero un impulso elettrico, noi percepiamo i messaggi dei vari nervi in modo differente, i messaggi trasportati dal nervo ottico producono la percezione di immagini visive e quelli trasportati dai nervi acustici producono la percezione di suoni, passando per canali differenti portano sensazioni differenti.
Nel 1800 troviamo i primi tentativi di ablazione sperimentale da parte del fisiologo francese Flourens, dove venivano asportate parti di cervello di animali e studiato il comportamento. Poco dopo Flourens, Paul Broca, un chirurgo francese, applicò il principio della lesione sperimentale al cervello umano, osservando il comportamento di persone colpite da ictus. Studiando una persona affetta da ictus attribuì a una parte della corteccia cerebrale dell’emisfero sinistro le funzioni atte al linguaggio.
Nel 1870 gli studiosi tedeschi Fritsch e Hitzig usarono per la prima volta la stimolazione elettrica come strumento per comprendere il funzionamento del cervello applicando una breve corrente a una parte di cervello scoperta di un cane e osservarono gli effetti che questa produceva. La stimolazione di specifiche aree causava la contrazione di specific muscoli sul lato opposto del corpo (la cosiddetta corteccia motoria primaria).

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